Spunti di riflessione - DareProtezioneRoma

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Spunti di riflessione...

Secondo Frank Ostaseski a cui ci ispiriamo per i corsi di formazione e l’impostazione del servizio di accompagnamento:
“ La compassione si manifesta quando ci permettiamo di essere sensibili, vulnerabili; essa allora fornisce il sostegno per stare con la sofferenza, non per allontanarla, rimane col dolore , è disponibile a sentire qualsiasi cosa sia presente fino a che una verità più profonda si rivela”
Ed anche a Sogyal Rinpoche da cui sono nati vari programmi di accompagnamento ai morenti
“Non potete aiutare i morenti finché non vi siete resi conto che la loro paura vi turba e porta a galla i vostri timori più angoscianti. Lavorare con loro è come guardare nello specchio limpido e impietoso della nostra stessa realtà, dove si può veder riflessa la nuda faccia del nostro panico e del nostro terrore del dolore. Se volete imparare ad aiutare chi muore, dovete esaminare ogni vostra reazione. Guardare apertamente le vostre paure vi aiuterà inoltre nel cammino verso la maturità".
Anche Marie De Hennezel concorda che:
“Per stare accanto a chi sta morendo è importante essere in grado di sviluppare la nostra capacità di presenza, di accoglienza e di contatto. La prima condizione è aver fatto un buon lavoro su di sé, avendo cominciato a riflettere sulla nostra propria mortalità. Se questo lavoro non è stato fatto è molto difficile accompagnare un morente. La seconda condizione è essere consapevoli di ciò che ci tocca, ci commuove, ed essere disposti a condividere. La terza condizione è essere consapevoli delle nostre paure (del contagio emozionale, del rifiuto, della rabbia dell'altro, dell'erotizzazione dei gesti, o altro ancora) e dei nostri meccanismi di difesa. La quarta condizione è aver fiducia nel malato e nel processo che è in atto. Dobbiamo credere che il nostro corpo saprà morire, così come ha saputo nascere. Per fare questo lavoro è importante che noi siamo capaci di sviluppare la nostra capacità di presenza, di accoglienza e di contatto".

Venerdì 30 marzo 1984
Scendevo a piedi lungo la strada in una bella mattina di primavera e il cielo era straordinariamente azzurro, non c’era una nuvola e il sole era tiepido, non scaldava troppo. Una bella sensazione. Le foglie rilucevano e uno scintillio era nell’aria. Era veramente una mattina straordinaria, stupenda. L’alta montagna era lì, impenetrabile, e le colline sottostanti erano verdi e amene. E mentre passeggiavi tranquillamente, senza tanti pensieri, vedesti una foglia morta, gialla e rossa, una foglia autunnale. Come era bella quella foglia morta, gialla e rossa, una foglia autunnale. Come era bella quella foglia, così semplice nella morte, così viva, piena della bellezza e della vitalità dell’intero albero e dell’estate! Strano che non fosse appassita. Guardandola più da vicino, vedevi tutte le venature, il picciolo e i contorni. Quella foglia era tutto l’albero.
Perché gli uomini muoiono così miseramente, infelicemente, per malattia, vecchiaia, con il corpo raggrinzito, deforme? Perché non possono  morire naturalmente, di una morte bella come quella della foglia? Cosa c’è che non va in noi? Nonostante tutti i dottori, le medicine, gli ospedali, gli interventi chirurgici e tutte le angosce della vita, e anche i piaceri, non sembriamo in grado di morire con dignità, semplicità, e con un sorriso.
Una volta, passeggiando lungo un viottolo, udisti alle tue spalle un canto, melodioso, ritmico, con l’antica forza del sanscrito. Ti fermasti e ti guardasti attorno. Un primogenito, nudo fino alla cintola, portava un vaso di terracotta con una fiamma che bruciava all’interno. Lo teneva in un altro recipiente e, dietro di lui, c’erano due uomini che trasportavano il padre morto, coperto con una stoffa bianca e tutti salmodiavano.
Sapevi cos’era quel canto, stavi quasi per unirti ad esso. Sapevi cos’era quel canto, stavi quasi per unirti ad esso. Ti passarono avanti e li seguisti. Andavano lungo la strada cantando e il primogenito era in lacrime. Trasportarono il padre fino alla spiaggia, dove avevano già raccolto una grande catasta di legna e stesero il corpo in cima al cumulo di legna a cui diedero fuoco.   Era tutto così naturale, così straordinariamente semplice:   non c’erano fiori, non c’era  il carro funebre, non c’erano carrozze nere con cavalli neri.  Era tutto molto tranquillo e assolutamente dignitoso. E guardavi quella foglia e mille foglie dell’albero. L’inverno aveva separato la foglia dalla madre e l’aveva lasciata su quel sentiero e, di lì a poco, sarebbe appassita e si sarebbe seccata completamente, sarebbe morta, scomparsa, portata via dal vento.
Se insegni ai bambini la matematica, a leggere e a scrivere e tutte le altre cose che rientrano nell’istruzione, dovresti anche insegnare loro la grande dignità della morte, non come una cosa morbosa e triste a cui si deve far fronte fino alla fine, ma come qualcosa di quotidiano:la vita quotidiana del guardare il cielo azzurro e la cavalletta sulla foglia. Fa parte dell’apprendimento, mentre crescono i denti e ci sono tutti i disagi delle malattie infantili. I bambini hanno una curiosità straordinaria. Se capisci la natura della morte, non spieghi che tutto muore, polvere eri e polvere tornerai e così via, ma spieghi la morte senza paura e con delicatezza, fai sentire loro che vivere e morire sono una cosa sola: non spieghi che la morte giunge alla fine della vita, dopo cinquanta, sessanta o novanta anni ma che è come quella foglia. Guarda alcuni anziani, come appaiono decrepiti, persi, infelici e brutti. Sono forse così perché non hanno capito né la vita né la morte? Hanno usato la vita e continuano a sprecarla con incessanti conflitti che tengono in esercizio e danno forza solo al sé, al me, all’ego. Passiamo i nostri giorni in numerosi conflitti e infelicità, con qualche gioia e qualche piacere, beviamo, fumiamo, facciamo le ore piccole e lavoriamo, lavoriamo, lavoriamo. E alla fine della nostra vita ci troviamo di fronte a quella cosa chiamata morte e ne siamo terrorizzati. Pensiamo che essa possa sempre essere capita, sentita profondamente. Il bambino con la sua curiosità può essere aiutato a capire che la morte non è soltanto il deterioramento del corpo causato da una malattia, dall’età avanzata o da qualche incidente imprevisto e che la fine di ogni giorno è anche la fine di se stessi ogni giorno.
Tutto sulla terra, su questa splendida terra, vive, muore, nasce e appassisce. Comprendere l’intero movimento della vita richiede intelligenza, non l’intelligenza del pensiero, dei libri o della conoscenza, ma l’intelligenza dell’amore e della compassione con la sensibilità che le è propria. Si può stare certi che, se l’educatore capisce il significato e la dignità della morte, la straordinaria semplicità del morire – se  lo capisce non intellettualmente ma profondamente  -  può essere in grado di comunicare allo studente, al bambino, che la morte, la fine, non deve essere evitata, non è qualcosa di cui essere terrorizzati, perché fa parte dell’intera vita di un individuo. In questo modo, quando lo studente, il bambino cresce, non sarà mail terrorizzato dalla fine. Se tutti gli esseri umani che sono vissuti prima di noi, da generazioni e generazioni, vivessero ancora su questa terra, sarebbe una cosa terribile. L’inizio non è la fine.
E si vorrebbe aiutare – no, non è la parola giusta – nel campo dell’istruzione si vorrebbe presentare la morte come una delle tante realtà, non la realtà di un altro che muore, ma di ognuno di noi perché, vecchi o giovani, dobbiamo inevitabilmente affrontarla. Non è una triste esperienza di lacrime, solitudine e  separazione.
Mentre guardavi quella foglia morta, con tutta la sua bellezza e il colore, forse capivi molto profondamente, eri consapevole di ciò che deve essere la propria morte, non alla fine della vita ma fin dal suo stesso inizio. La morte non è qualcosa di orripilante, da evitare, da rimandare, ma piuttosto qualcosa con cui vivere ogni giorno. E da questo nasce uno straordinario senso di immensità.


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